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Correlazioni in Medicina



Tafasitamab un anticorpo monoclonale anti-CD19 nel linfoma diffuso a grandi cellule B recidivante o refrattario


Tafasitamab ( Minjuvi ) è un anticorpo monoclonale potenziato nel frammento cristallizzabile Fc che ha come bersaglio l’antigene CD19 espresso sulla superficie dei linfociti pre-B e B maturi.
Al momento del legame con CD19, Tafasitamab media la lisi dei linfociti B attraverso: coinvolgimento delle cellule immunitarie effettrici quali le cellule natural killer, le cellule γδ T e i fagociti; induzione diretta di morte cellulare ( apoptosi ). La modifica del frammento cristallizzabile Fc comporta il potenziamento della citotossicità cellulare anticorpo-dipendente e della fagocitosi cellulare anticorpo-dipendente.

Nei pazienti con linfoma DLBCL recidivato o refrattario Tafasitamab ha provocato una riduzione delle conte dei linfociti B nel sangue periferico.
Nello studio L-MIND la riduzione rispetto alla conta delle cellule B al basale ha raggiunto il 97% dopo 8 giorni di trattamento. La massima riduzione dei linfociti B a circa il 100% ( mediana ) è stata raggiunta entro 16 settimane di trattamento.
Sebbene la deplezione dei linfociti B nel sangue periferico sia un effetto farmacodinamico misurabile, non è direttamente correlata alla deplezione dei linfociti B negli organi solidi o nei depositi neoplastici maligni.

Efficacia clinica

Tafasitamab più Lenalidomide seguiti da Tafasitamab in monoterapia è stato studiato nello studio multicentrico in aperto, a braccio singolo L-MIND.
Questo studio è stato condotto nei pazienti adulti con linfoma DLBCL recidivato o refrattario dopo 1-3 precedenti terapie sistemiche per il trattamento del linfoma DLBCL, che al momento della sperimentazione non erano candidati alla chemioterapia ad alto dosaggio seguita da trapianto ASCT o che avevano rifiutato il trapianto ASCT.
Una delle terapie sistemiche precedenti doveva aver incluso una terapia anti-CD20.
Lo studio ha escluso pazienti con grave compromissione epatica ( bilirubina sierica totale superiore a 3 mg/dL ) e pazienti con compromissione renale ( clearance della creatinina, CrCL inferiore a 60 mL/min ), nonché pazienti con anamnesi o evidenze di patologia clinicamente significativa del sistema cardiovascolare, del sistema nervoso centrale ( SNC ) e/o di altri sistemi.
Anche i pazienti con anamnesi nota di linfoma DLBCL double / triple hit genetico sono stati esclusi all’ingresso nello studio.

Per i primi tre cicli, i pazienti hanno ricevuto 12 mg/kg di Tafasitamab tramite infusione al giorno 1, 8, 15 e 22 di ciascun ciclo di 28 giorni, più una dose di carico il giorno 4 del ciclo 1.
Successivamente, Tafasitamab è stato somministrato nei giorni 1 e 15 di ciascun ciclo fino a progressione della malattia.
Una premedicazione che includeva antipiretici, bloccanti dei recettori dell’istamina H1 e H2 e glucocorticosteroidi è stata somministrata da 30 a 120 minuti prima delle prime tre infusioni di Tafasitamab.
I pazienti si sono autosomministrati 25 mg di Lenalidomide al giorno nei giorni da 1 a 21 di ciascun ciclo di 28 giorni, fino a un massimo di 12 cicli.

Un totale di 81 pazienti è stato arruolato nello studio L-MIND. L’età mediana era di 72 anni ( intervallo: da 41 a 86 ), l’89% era di etnia caucasica e il 54% di sesso maschile.
Su 81 pazienti, 74 ( 91.4% ) presentavano un performance score ECOG di 0 o 1, e 7 ( 8.6% ) avevano un ECOG di 2.
Il numero mediano di terapie precedenti era due ( intervallo: da 1 a 4 ), con 40 pazienti ( 49.4% ) che avevano ricevuto una terapia precedente e 35 pazienti ( 43.2% ) che avevano ricevuto 2 precedenti linee di trattamento. Cinque pazienti ( 6.2% ) avevano ricevuto 3 precedenti linee terapeutiche e 1 ( 1.2% ) aveva ricevuto 4 linee di trattamento precedenti.
Tutti i pazienti avevano ricevuto una precedente terapia anti-CD20.
Otto pazienti avevano una diagnosi di linfoma DLBCL trasformato da linfoma di basso grado.
Quindici pazienti ( 18.5% ) presentavano malattia refrattaria primaria, 36 ( 44.4% ) erano refrattari alla loro ultima terapia precedente e 34 ( 42.0% ) erano refrattari a Rituximab.
Nove pazienti ( 11.1% ) avevano ricevuto precedente trapianto ASCT.
I motivi principali per cui i pazienti non erano candidati al trapiantoASCT includevano età ( 45.7% ), refrattarietà alla chemioterapia di salvataggio ( 23.5% ), comorbidità ( 13.6% ) e rifiuto di chemioterapia ad alto dosaggio / ASCT ( 16.0% ).

Un paziente aveva ricevuto Tafasitamab ma non Lenalidomide. I restanti 80 pazienti hanno ricevuto almeno una dose di Tafasitamab e Lenalidomide.
Tutti i pazienti arruolati nello studio L-MIND presentavano una diagnosi di linfoma DLBCL sulla base del referto dell’anatomia patologica locale. Tuttavia, secondo la revisione dell’anatomia patologica centrale, 10 pazienti non potevano essere classificati come linfoma DLBCL.
La durata mediana dell’esposizione al trattamento è stata di 9.2 mesi ( intervallo: 0.23, 54.67 mesi ).
Trentadue ( 39.5% ) pazienti hanno completato 12 cicli di Tafasitamab. Trenta ( 37.0% ) pazienti hanno completato 12 cicli di Lenalidomide.

L’endpoint primario di efficacia era il migliore tasso di risposta obiettiva ( ORR ), definito come la percentuale di pazienti con risposta completa e parziale, come valutato da un Comitato di revisione indipendente ( IRC ).
Altri endpoint di efficacia includevano la durata della risposta ( DoR ), la sopravvivenza libera da progressione ( PFS ) e la sopravvivenza globale ( OS ).

La sopravvivenza globale ( OS ) era un endpoint secondario nello studio.
Dopo un follow-up mediano di 42.7 mesi ( IC al 95%: 38.0; 47.2 ), la sopravvivenza globale mediana è stata pari a 31.6 mesi ( IC al 95%: 18.3; non-raggiunto ).
Tra gli otto pazienti che avevano un linfoma DLBCL trasformato da un precedente linfoma indolente, 7 pazienti hanno avuto una risposta obiettiva ( 3 pazienti una risposta completa, 4 pazienti una risposta parziale ) e un paziente ha avuto una malattia stabile come risposta migliore al trattamento con Tafasitamab e Lenalidomide.

Nel gruppo ITT, 36 pazienti su 81 avevano un'età inferiore o uguale a 70 anni e 45 pazienti su 81 avevano un'età superiore a 70 anni.
Nel complesso non sono state osservate differenze in termini di efficacia per i pazienti di età uguale o inferiore a 70 anni rispetto a pazienti di età superiore a 70 anni. ( Xagena2022 )

Fonte: EMA, 2022

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